Tutti riconoscono il font dei fumetti. Perché? Da dove nasce? Dai testi creati a mano a font digitali: l’evoluzione del font utilizzati nei fumetti.
Marvel Comics e DC Comics sono in assoluto le case editrici di fumetti di supereroi più conosciute e più vendute al mondo. Nate nella seconda metà degli anni ’30 (la DC nel 1934 come National Allied Publications, la Marvel nel 1939 come Timely Comics), sono le protagoniste principali della Storia del fumetto in età moderna.
I fumetti di queste due case editrici si sono evoluti nel tempo: grazie al progredire delle tecnologie a disposizione per stampa e editoria e il miglioramento della qualità della carta (dovuto anche al maggior successo dei fumetti come fenomeno di massa), oltre che grazie all passaggio al digitale, l’estetica dei fumetti è variata notevolmente.
Questa evoluzione ha interessato, oltre ai tratti del disegno stesso, anche le parti testuali dei baloon e didascalie e, come accade in ogni evoluzione, elementi del passato si possono ritrovare anche nel presente.
Se oggi, infatti, il font digitale utilizzato per questi elementi ha quelle particolari caratteristiche, è dovuto al fatto che in passato ogni singola lettera era disegnata a mano.
Dopotutto, se Marvel e DC, invece di quel font, utilizzassero un semplice Times New Roman, l’effetto sarebbe completamente diverso, non trovi? (No, non usano il Comics Sans. Per approfondire, leggi Apologia del Comic Sans.)
Where the “comic book font” came from? Ottimo video di Vox sulla storia dei font dei fumetti
In principio c’era solo la matita
I primissimi fumetti erano disegnati totalmente a mano e con totalmente si intende sia il disegno vero e proprio delle vignette, sia gli elementi testuali dei dialoghi e didascalie.
Così come l’estetica di ogni vignetta era data dallo stile personale del disegnatore, ogni parte testuale mostrava lo stile del letterista, l’addetto alla scrittura dei testi.
Durante la Golden Age dei fumetti supereroistici, tra gli anni ’30 e gli anni ’50, dietro ad un singolo comic lavorava una vera e propria equipe di professionisti: sceneggiatori (coloro che scrivevano le storie), matitisti (chi effettuava i disegni a matita), letteristi (chi si occupava dei soli testi), inchiostristi (chi ripassava con l’inchiostro nero tutti i contorni dei disegni) e coloristi (chi si dedicava a colorare i disegni).
Se però coloristi e inchiostristi non venivano citati nei crediti, sceneggiatori, matitisti e letteristi avevano la propria rilevanza in quanto erano loro che davano lo stile vero e proprio e personalità al fumetto.
Benché i letteristi cercavano di mantenere un tratto comune, così da non creare troppa differenza tra un fumetto e l’altro, gli occhi più allenati sapevano riconoscere chi aveva scritto cosa: come oggi noi appassionati sappiamo riconoscere i disegni di Angelo Stano (Dylan Dog) o Simone Bianchi (Marvel), ai tempi i più attenti sapevano riconoscere i tratti di Gaspar Saladino o Sam Rosen, famosi letteristi dell’epoca d’oro.
La qualità della carta aveva la sua importanza
La qualità della carta dei primi fumetti era assai lontana dalla qualità delle pagine lucide a cui siamo abituati ora. La carta era molto porosa, assorbiva molto l’inchiostro e la possibilità di ritrovarsi la pagina macchiata era molto alta.
Questo pericolo portò i letteristi a favorire le lettere maiuscole alle minuscole: lettere più grandi, tutte alte uguali, senza distinzione di maiuscole o minuscole o di lettere sviluppate verso l’alto, come la t, o verso il basso, come la q. Le maiuscole offrivano anche più possibilità di ottimizzazione dello spazio a disposizione.
Per aiutarsi a mantenere costante l’altezza delle diverse lettere, i letteristi usavano la Ames lettering Guide, uno strumento che permetteva di tracciare linee guida che definiscono l’altezza delle lettere e la distanza tra i singoli elementi di ciascuna.
L’utilizzo dell’Ames Lettering Guide ha in seguito portato ad un tentativo di uniformare il lettering. La casa editrice EC Comics, specializzata in fumetto horror, attraverso una guida più specifica molto simile ad un normografo, cercò di dare ai suoi letteristi la traccia per ogni singola lettera. Questa strada però non venne percorsa da altre case editrici e si preferì continuare alla vecchia maniera.
Oltre alla Ames Lettering Guide, i letteristi dovevano seguire regole precise per la creazione dei testi, come l’utilizzo del grassetto e del corsivo per dare enfasi alla parola (un urlo o una parola chiave a cui dar risalto). Queste regole sono rimaste tutt’ora e son state interiorizzate dalle aziende che creano (e vendono) i font fumettistici alle case editrici.
L’era digitale e i font
Comicraft e Bambot sono due aziende che hanno creato font dedicati ai fumetti. Per mantenere continuità con la tradizione, poiché le caratteristiche del lettering manuale sono state ormai assorbite dai lettori diventando facilmente riconoscibili, i font da loro creati mantengono lo stesso stile grafico di handwriting.
Il lavoro del letterista, con l’era digitale, si è quindi evoluto anch’esso. Non è più manuale, ma si basa semplicemente sul download del font e impaginazione dei testi. Non esiste più quindi uno stile riconoscibile del letterista (per questo ora non li vediamo più elencati nei crediti), in quanto tutti utilizzano i medesimi font digitali.
In questo modo i fumetti hanno di certo perso di personalità, ma si è guadagnato in tempo di realizzazione.
Quali sono i font digitali utilizzati nei fumetti?
Sono parecchi e c’è solo l’imbarazzo della scelta. Ad esempio,
La Comicraft presenta un elenco molto dettagliato, con font filtrabili per scopo (baloon, didascalie, effetti sonori ecc…), stile e struttura. L’elenco di font della Blambot è invece meno dettagliato, ma altrettanto ricco (con qualche font anche gratuito!).
Vuoi utilizzare queste tipologie di font per un progetto?